Ogni volta che, anni fa, mi preparavo a viaggiare, la mia gioia era annebbiata dall’ansia di acquistare il biglietto del treno online. Molto prima di essermi collegato al sito, un nodo allo stomaco anticipava le difficoltà che avrei trovato nel selezionare il mio viaggio e nel procedere al pagamento.
Questa è quella che possiamo chiamare una bad user experience, e, come avrete notato, non è limitata all’utilizzo di qualcosa, ma è fatta di aspettative e ansie, e prosegue, dopo l’utilizzo, con una scia negativa di frustrazione.
Al contrario, ricordo il mio magico incontro con Netflix, un nuovo modo di accedere ai film e alle serie che amo, semplice e immediato, senza sensi di colpa, senza pubblicità moleste o interruzioni tecniche. Lo desideravo ben prima di averlo usato e mi conquistò a tal punto che ne parlavo a chiunque mi capitasse a tiro. Evidentemente una good user experience.
Tra questi due casi limite c’è una gamma di esperienze che non notiamo ma che ci condizionano, nel bene e nel male. Soprattutto condizionano il successo di un prodotto o di un’applicazione. Un buon User Experience Design è, nella maggior parte dei casi, invisibile.
Partendo da questi esempi è più semplice comprendere la definizione di User Experience (UX) che troviamo sul sito del Nielsen Norman group, un’istituzione a riguardo:
“User experience” comprende tutti gli aspetti dell’interazione dell’utente finale con l’azienda, i suoi servizi e i suoi prodotti
Don Norman, tra i fondatori del NNG, fu il primo a usare il termine User Experience negli anni novanta quando lavorava in Apple. Norman intuì che il rapporto con un prodotto comincia desiderandolo e comprende anche il gesto di aprire la confezione (basti guardare il successo dei video di Unpacking). Sappiamo ora che fu un’ottima intuizione per Apple.
Penso sia utile anche approfondire il termine “design”- molto interessante a riguardo il capitolo dedicato al design nel libro Critica portatile al visual design di Riccardo Falcinelli – che completa la definizione. La parola inglese “design” viene dal francese “dessein” che viene a sua volta dall’italiano “disegno”. In italiano viene spontaneo associare il termine “disegno” alla dimensione artistica e creativa ma, in questo contesto, dobbiamo provare a pensarlo nel suo significato di progetto. È lo schizzo il punto di partenza da cui nasce la maggior parte delle idee, in tanti campi, anche tecnici. Progettare significa anche, ed è molto importante, considerare le condizioni in cui quello che progettiamo verrà costruito, usato e riprodotto.
Quindi, User Experience Design significa progettare un prodotto o un servizio, e tutto ciò che è interazione con l’azienda, in modo da creare un’esperienza soddisfacente e piacevole per l’utente.
PERCHÉ INVESTIRE NEL UXD
Il motivo principale, a mio parere, per cui ha senso fare UXD è che aiuta a capire dove gli interessi del business e quelli dell’utente si sovrappongono, e questa operazione è fondamentale. Mettere al centro l’utente nell’ideare un prodotto, nel progettarlo e realizzarlo e, infine, nel testarlo, serve ad avere clienti più contenti e a creare una scia positiva che avvolgerà il prodotto e il brand, aumentandone il valore economico.
Se questo è abbastanza chiaro per i prodotti pensati per i consumatori, è un po’ più difficile comprenderlo per i prodotti rivolti ai lavoratori di un’azienda. Perché investire per creare applicazioni per i propri dipendenti che siano facili e piacevoli da usare? Opinione diffusa è infatti che una interazione poco intuitiva possa essere compensata dalla formazione, e che un dipendente non vada conquistato poiché non può scegliere un competitor.
In realtà la formazione ha un costo e l’insoddisfazione del lavoratore anche, poiché ricade sull’ambiente. Oltretutto la felicità dei dipendenti si sta diffondendo come valore in molte aziende ed infine, banalmente, un’applicazione pensata per l’utente è più efficiente e aumenta la produttività.
COME E CHI FA UXD
Ovviamente questa domanda non ha una risposta semplice; come si progetta un’esperienza? Certamente tutto parte dalla conoscenza delle persone per cui progettiamo. Gli strumenti per farlo sono tanti – una divertente raccolta la trovate su Ux recipe – e non è il momento di entrare nel dettaglio, ma ci sono due punti che credo sia utile chiarire.
Innanzitutto, per quanto come garante di un approccio User Centered ci sia la figura dello User Experience Designer, il processo di progettazione dovrebbe essere condiviso con gli altri attori dello sviluppo del software. Mettere al centro quello che sappiamo dell’utente, e non le nostre opinioni, è un approccio culturale più che una competenza tecnica.
Inoltre, la progettazione è un processo iterativo che deve prevedere la gestione dell’errore e deve imparare da esso.
CONCLUSIONE
La UX, quindi, è più che una caratteristica tecnica di un prodotto; una buona esperienza d’uso è un vantaggio per il business e per realizzarla è necessario un cambiamento culturale nell’organizzazione o nell’azienda che produce un prodotto, a tutti i livelli.
APPENDICE: COSA NON È LA UXD
Poiché lo UXD è spesso confuso con alcune sue parti, ha senso chiarire anche cosa non è:
- Non è usabilità. L’usabilità è una proprietà del prodotto, l’esperienza, come abbiamo chiarito è un concetto più ampio. Se Netflix avesse avuto un catalogo molto limitato e lontano dai miei gusti avrei avuto una bad experience anche se l’usabilità del sistema fosse stata la stessa. L’usabilità è quindi uno degli ingredienti fondamentali di una buona esperienza d’uso ma non coincide con essa.
- Non è grafica (Visual design). La grafica è molto importante per la soddisfazione dell’utente, tanto da influenzare la percezione dell’usabilità di un prodotto ma è solo una parte degli strumenti che creano una buona esperienza d’uso.
- Non è UI. La User Interface è anch’essa una caratteristica del prodotto, parte fondamentale dell’esperienza ma diversa da essa.